Parlar male su Facebook è diffamazione

imagesSentenza particolare della Corte di Cassazione di Roma che ha annullato una precedente assoluzione di un maresciallo della Guardia di Finanza di Pisa che, sul proprio profilo FB, aveva usato espressioni diffamatorie nei confronti di un collega che lo aveva sostituito in un incarico.

Altro elemento importante è che il collega non era stato neanche nominato in modo esplicito, ma alla Cassazione è bastato questo per esprimersi con queste motivazioni: perché si configuri il reato “è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa“.

Attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di un collega raccomandato e leccaculo…ma me ne fotto per vendetta….” scriveva sul Facebook il maresciallo, condannato in primo grado, poi assolto dalla Corte militare d’appello di Roma dato l’anonimato delle offese sul social network. Il procuratore generale militare aveva quindi impugnato la sentenza di secondo grado in Cassazione che nella conclusione del suo giudizio, ai fini della valutazione, “non può non tenersi conto dell’utilizzazione del social network, a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti alla Guardia di Finanza, nè alla circostanza che in concreto la frase sia stata letta soltanto da una persona“.

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